Liturgico abbandono di languidi corpi scultorei vibranti di desiderio, plasticamente delineati con essenziali pennellate di bianco sul nero assoluto o meticolosamente esaltati dalla pregnanza dei volumi materici. Popolata da uomini e soprattutto donne spesso senza volto, universalizzati nella loro spersonalizzazione, la realtà pittorica di Manuela Armellani è imprescindibile dal coinvolgimento dei sensi e conduce l’osservatore disinibito ad un eccitante ma insidioso viaggio attraverso i reconditi meandri dell’erotismo. L’intenzionale approssimazione dei visi ovoidali privi di tratti fisiognomici, palese riferimento al maestro Giorgio de Chirico, si contrappone alla corposità delle figure, palpabili benché “risucchiate” dal buio degli sfondi che accentua i dettagli anatomici. Sui seni opulenti spiccano capezzoli inturgiditi da maliziosi pensieri o da sonni inquieti che approdano a “ingenue provocazioni” di mani vogliose che, esplorando ed indugiando, scatenano l’estasi, resa nella sensualità delle labbra socchiuse, nel languore degli occhi, nelle teste reclinate che accentuano la tensione del collo e dei muscoli nello spasimo del desiderio. Spregiudicatezza e reticenza si mescolano nelle composizioni di Manuela Armellani. Due atteggiamenti antitetici convivono nei suoi personaggi. Da un lato, probabilmente inconscio, o forse perché consapevoli dell’audacia dei loro atti, si avverte il loro pudore a mostrarsi in viso. Alla completa nudità dei corpi – sottolineata dal sapiente gioco di contrasti di luce e di chiaroscuri – totalmente disponibili nel loro libero abbandono, si oppone infatti l’imperscrutabilità del volto, girato, reclinato, nascosto dalle braccia, dai capelli scompigliati o comunque annientato dalle ombre in agguato. Dall’altro, il desiderio prende il sopravvento e si effonde in un vertiginoso tripudio di sensualità, dalla quale la donna emerge disinibita e trionfante nel rivendicare la pienezza del proprio essere prima ancora che dei propri istinti. Dalle quasi pudiche concessioni all’autoerotismo, alle effusioni saffiche, ai grovigli orgiastici, la figura femminile di Manuela Armellani, indubbiamente bella e desiderabile, si spoglia del ruolo di dimessa donna-oggetto per affermare il suo essere soggetto attivo, consapevole ed orgogliosa del proprio valore. Ma· la cautela è d’obbligo. Ad un’osservazione più accurata, la donnamanichino, ipercolorata su uno sfondo verde smeraldo, che tende una mano innaturalmente spalancata quasi a chiedere aiuto, o l’ambigua figura antropomorfa dai seni semi celati dal braccio palestrato che avvolge il capo reclinato in avanti, ripiegata su se stessa in posizlone fetale, trasmettono un senso di solitudine e di angoscia esistenziale solo in parte mascherato dal tripudio dei sensi. L’oscurità in cui i personaggi sono immersi non è solo fisica, ma anche ontologica. Nel profondo della loro anima, soprattutto gli uomini, sono esseri fragili, sospesi, insidiati dall’inedia, in una sorta di “waste land” in cui la carica erotica, l’effervescenza dei sensi e quel modo quasi ostentato di abbandonarsi al piacere, come in certe pose “eccessive” da Kamasutra, non riescono a compensare interamente il disagio emotivo. I corpi, in primi piani ravvicinatissimi, si stagliano su sfondi asettici ed inquietanti, totalmente neri, raramente bianchi. Anche nel caso di opere policrome, il colore è abbagliante, applicato con tocchi aggressivi. La concitazione delle pennellate genera un turbinio dinamico che, se da un lato rimanda alla lezione futurista e alla tecnica fauve delle violente giustapposizioni di frammenti di tono e colore contrastanti, dall’altro rivela la frammentazione interiore di questi individui pensosi che, pervasi da ambizioni e desideri come tutti, come l’Everyman che rappresentano, sono destinati invece alla frustrazione, al crepuscolo di un’esistenza solo a tratti illuminata da brandelli o “morsi” di luce che non riusciranno ad estinguere la brama sospesa nei loro sguardi provocanti velati di malinconia, nella gestualità solenne e drammatica, nelle pose meditate del loro prorompente erotismo. Fumo negli occhi, facile pretesto, inebriante palliativo per esorcizzare l’insinuante sgomento dell’anima.
Simona Clementoni